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Let’s Talk: l'antropologo sociale Frédéric Keck sul coronavirus
March 10, 2020
di Frédéric Keck
Direttore di ricerca presso il Centro Nazionale di Ricerca Scientifica francese (CNRS)
Frédéric Keck è direttore di ricerca presso il Centro Nazionale di Ricerca Scientifica francese (CNRS) e direttore del Laboratorio di Antropologia Sociale. Keck dirige inoltre un team che, grazie a un finanziamento dell’AXA Research Fund, sta conducendo il primo studio comparato in diverse culture e contesti sui fattori sociali che influenzano la trasmissione di malattie dagli animali all'uomo. Nell'ambito di questo studio, il team sta esaminando le frontiere tra le specie: non si tratta di barriere impermeabili, ma di uno spazio in cui le persone interagiscono con gli animali.
Fast Fast Forward riporta una recente intervista con il Dott. Keck a proposito dell'attuale epidemia di coronavirus. L'intervista si è tenuta a fine febbraio, in concomitanza con l'insorgere di nuovi focolai in Europa, Asia e Medio Oriente.
Quali sono le analogie e le differenze tra questa e le precedenti epidemie?
In termini di sequenza genetica, questo virus è molto simile a quello che causò la SARS nel 2003.
È più contagioso della SARS, ma è meno letale. I sintomi sono quelli tipici della polmonite e la maggior parte delle persone colpite gravemente o decedute presentavano anche ulteriori patologie in corso. Colpisce per lo più le persone anziane: sono pochi i bambini contagiati e tra di loro non si sono registrati decessi.
Come per la SARS, il virus colpisce spesso anche il personale sanitario impegnato ad assistere i pazienti affetti.
Ciò che è ancora poco chiaro è il periodo di incubazione: secondo la WHO (World Health Organization), gli esperti ipotizzano un periodo di incubazione compreso tra 1-14 giorni, con una media di 5 giorni. Questo significa che I pazienti infetti potrebbero veicolare il virus senza avere sintomi. Ciò spiegherebbe la rapidità della diffusione in aree come l’Italia e l’Iran.
Nel caso della SARS, era necessario entrare in stretto contatto con le escrezioni della persona infetta (goccioline, feci) perché avvenisse il contagio. Questo nuovo coronavirus, invece, sembra diffondersi più facilmente e, all’oggi, abbiamo scarsa conoscenza rispetto a come venga aerosolizzato. Per questa ragione è fondamentale approfondire gli studi relativi a quanto tempo il virus sia in grado di sopravvivere sulle superfici con le quali entriamo in contatto nella vita di tutti i giorni. Questo ci aiuterebbe a capire perché è più contagioso della SARS.
Questa epidemia è una dura prova per i sistemi sanitari pubblici globali. Anche se siamo solo all'inizio, come stanno andando le cose?
Se la tempestiva individuazione è stata un successo, d'altra parte il mancato controllo della diffusione ha rappresentato un fallimento.
Sfortunatamente, l’allarme su questo nuovo virus a inizio dicembre non è stato immediatamente preso in considerazione. Il ritardo nel riconoscere la gravità del virus gli ha permesso di diffondersi fino a diventare un fenomeno mondiale; non si tratta ancora di una pandemia, ma la paura è globale.
Molte persone associano questa epidemia alla SARS e ne ricordano l'impatto sull'economia di Hong Kong. Se la SARS si fosse protratta ancora per due o tre mesi, l'economia di Hong Kong sarebbe collassata. Senza voler minimizzare la dimensione umana, l'attenzione è stata concentrata sui rischi per l'economia, e molti paesi hanno aumentato gli investimenti per prepararsi a rispondere a eventuali pandemie.
Come dovrebbero reagire a questo evento le aziende e i singoli cittadini?
È una circostanza che fa riflettere sulla vulnerabilità dell'economia globale. Facciamo grande affidamento sulle connessioni, sull'accelerazione, sugli spostamenti... E forse un virus come questo, che dovrebbe avere un impatto diretto molto limitato sulle persone, ma potrebbe avere conseguenze economiche disastrose, costringerà le persone a rallentare.
Da un punto di vista pratico, una delle raccomandazioni è quella di evitare grandi assembramenti, come, pensando alla mia città, la settimana della moda di Parigi, che normalmente attirerebbe molte persone dalla Cina. Tutti i partecipanti dalla Cina hanno infatti annullato la loro presenza. Pertanto, gli organizzatori di grandi eventi pubblici devono considerare seriamente il rischio di cancellazione.
Al di là delle decisioni individuali circa l'opportunità o meno di viaggiare, le misure precauzionali ora ampiamente pubblicizzate, per esempio lavarsi le mani ed evitare di toccarsi il viso, dovrebbero contribuire a limitare il rischio. A meno che non si abbiano già problemi di salute o si abbia più di 70 anni e si soffra di problemi respiratori; ma in ogni caso è sempre opportuno attenersi alle linee guida dei rispettivi governi. La vera sfida è per le autorità sanitarie, che devono controllare l'insorgenza di un nuovo virus.
Com'è nato in lei l'interesse per ciò che definisce "le frontiere tra le specie"?
Il mio primo interesse non erano le epidemie o le pandemie, ma la sicurezza alimentare. Iniziai a lavorare a questo tema nel 2005, in concomitanza con l'arrivo dell'influenza aviaria in Europa, che diffuse il timore di consumare pollo, paura del tutto simile a quella nei confronti del consumo di carne bovina causata dal diffondersi della MCJ, o morbo della mucca pazza.
Il mio lavoro non riguardava direttamente le pandemie o la preoccupazione di morire a causa di un nuovo virus... ero principalmente interessato alle differenti interazioni dell’uomo nel rapporto con gli animali con cui vive e di cui si ciba. Ecco perché iniziai a lavorare sulle misure di contenimento dell'influenza aviaria e sui difficili rapporti tra esseri umani e uccelli a Hong Kong e in Cina.
E allora mi resi conto che le strategie di risposta all'influenza attuate a Hong Kong, Singapore e Taiwan non avrebbero funzionato se non ci fosse stata la SARS, che aveva costituito un punto di svolta importante. E iniziai a riflettere sulle conseguenze economiche delle crisi sanitarie.
Il mio interesse è focalizzato principalmente su come il nostro rapporto con gli animali si modifichi in funzione dei cambiamenti climatici, della deforestazione e dell'allevamento industriale. Per esempio, una delle caratteristiche del coronavirus è il fatto di essere trasmesso dai pipistrelli, i quali vivono sempre più a contatto con gli esseri umani a causa della deforestazione. Non dobbiamo dunque riflettere soltanto sui nostri rapporti con la Cina in quanto potenza emergente, ma anche sul nostro rapporto con i pipistrelli, che costituiscono un bacino di virus. I pipistrelli erano immaginati come creature diaboliche medievali nel diciannovesimo secolo, quando molte nazioni europee hanno assistito ad una migrazione massiva dalle zone rurali alle città: i pipistrelli, che comunemente vivevano in campagna si sono avvicinati alle aree urbane a causa della deforestazione. E ora ci stiamo anche rendendo conto che abbiamo molto da imparare su come i pipistrelli riescono a convivere con i virus, dal momento che hanno un ottimo sistema immunitario e possono condividere i virus in colonie molto meglio di noi.
Al momento qual è il focus della sua ricerca?
Ho appena pubblicato un libro dal titolo Avian Reservoirs – Virus Hunters and Birdwatchers in Chinese Sentinel Ports. Dopo l'epidemia di SARS del 2003, Hong Kong, Singapore e Taiwan hanno investito in varie tecniche di mitigazione delle future pandemie che implicano diverse interazioni tra esseri umani e uccelli. In alcuni luoghi, i microbiologi si sono uniti a veterinari e ornitologi per studiare le mutazioni dei virus influenzali negli uccelli e negli esseri umani al fine di elaborare strategie di risposta. In altri, invece, i servizi sanitari pubblici hanno ucciso migliaia di uccelli nel tentativo di prevenire future pandemie.
Nel mio libro ho effettuato un'analisi comparativa di queste risposte, evidenziando come la prevenzione delle pandemie di influenza aviaria abbia cambiato le relazioni tra uccelli ed esseri umani in Cina. Ho inoltre analizzato come le diverse strategie di risposta alla minaccia di pandemia – le scorte di vaccini e campioni a Taiwan, la simulazione di pandemie a Singapore, il monitoraggio di virus e vettori di malattie a Hong Kong – riflettano le relazioni geopolitiche locali con la Cina. Illustrando come le interazioni tra agenti patogeni, uccelli ed esseri umani definiscono il modo in cui le persone immaginano le pandemie future, ho cercato di dimostrare come le relazioni tra specie diverse siano fondamentali per difenderci da queste minacce.
Ci sono altri aspetti dell'attuale epidemia che la gente dovrebbe conoscere?
Penso sia importante che gli opinionisti e i politici siano consapevoli del fatto che nei prossimi anni si ripeteranno eventi simili a questo. Siamo soltanto all'inizio. Perché non appena si cominciano a individuare nuovi virus al loro insorgere, crisi sanitarie come questa possono ripetersi ogni cinque-dieci anni circa. La chiave è imparare a reagire a questi virus in modo più efficace a livello globale, al fine di ridurre al minimo le minacce per la salute e la vita umana e per l'economia.
Sull'AXA Research Fund
L'AXA Research Fund sostiene progetti negli ambiti della salute, dell'ambiente, delle nuove tecnologie e della socioeconomia. È stato fondato nel 2007 sulla base del riconoscimento del ruolo fondamentale della scienza nelle problematiche più importanti che il nostro pianeta si trova ad affrontare. L'iniziativa filantropica di AXA in ambito scientifico si impegna a sostenere la scienza, contribuendo al progresso della società e incoraggiando i ricercatori a condividere il loro lavoro con il grande pubblico.
I commenti e le opinioni espressi in questo articolo appartengono a Frederic Keck e non rispecchiano necessariamente quelli di AXA o di AXA XL.
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